Berlusconi all'altro mondo: non è una notizia falsa e tendenziosa che vede il decesso del premier (qualcuno, fosse così, stapperebbe la più preziosa delle sue bottiglie). L'altro mondo inteso come quel sud America che tanto simile e diverso appare rispetto alla cupola Boreale. Cambiano le latitudini, il clima e le razze, ma non quella cara e vecchia abitudine dell'Arcoriano di cadere in battute di pessimo gusto, festini passati per incontri istituzionali, proclami dal pulpito che appaiono strillate dal balcone di una lavandaia romana.
Contenuti a parte, che poco o niente contengono, Berlusconi continua a tenere lieve il livello, schiva di continuo protocollo ed etichetta non per anticonformismo ma per idiozia. Qualsiasi palcoscenico è buono e tutti i giorni va in onda il suo "sciò" ; nel paese dove l'opinione della televisione conta un buon 80%, chi appare di continuo può assumere i connotati del profeta.
Berlusconi ha assunto questo ruolo e continua a diffondere la sua parola, la sua menzogna senza vergogna, anzi puntando il suo dito accusatore verso chi cerca di contrapporsi.
Intanto lui, leggero, libero e felice come una farfalla che svolazza in un mondo senza problemi, visto che in Italia tutti lo trattano male si reca in visita in Brasile, giusto per tenere vivo il suo spirito e apostrofa una gentile cameriera con una frase che sintetizza totalmente la politica Italiana del momento: "Volevo farmi una ciulatina...".
Grazie Silvio perchè in fondo sei andato nell'altro mondo per noi, nel trans - stato per tenere alto l'onore italiano visto che loro vengono qua da noi per sputtanarci con feste di gusto riprovevole, ricatti, droghe e bugie.
Grazie Silvio, adesso si che ti sei meritato la tua ciulatina.
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venerdì 2 luglio 2010
venerdì 20 novembre 2009
Acqua
L'acqua è l'elemento primordiale per eccellenza: uno degli elementi fondamentali nella vita dell'uomo e attualmente anche uno dei diritti fondamentali di ogni uomo e di ogni donna che popolano il nostro pianeta.
Padre Alex Zanotelli
Padre Alex Zanotelli
mercoledì 18 novembre 2009
Il coraggio polacco

Hanno detto no.
Hanno rifiutato i vaccini su un'epidemia falsa creata per far sorgere solo bolle speculative.
Grandi polacchi. Dopo l'invasione nazista non potevate certo subire anche questa.
L'interesse del cittadino prima di quello delle case farmaceutiche sospettate di truffa insieme ai paesi ricchi.
Avanti il prossimo, attendo speranzoso.
Hanno rifiutato i vaccini su un'epidemia falsa creata per far sorgere solo bolle speculative.
Grandi polacchi. Dopo l'invasione nazista non potevate certo subire anche questa.
L'interesse del cittadino prima di quello delle case farmaceutiche sospettate di truffa insieme ai paesi ricchi.
Avanti il prossimo, attendo speranzoso.
Eravamo 4 amici al bar
Notizia
Leggo questa notizia. Sinceramente mi fa sorride e rattristare un pò. In un periodo della mia vita in cui cerco positività, leggo che la parola dell'anno (sigh) è di per se negativa: Unfriend. Va bene che questa speciale classifica rimarrà impressa nella mia mente per altri 5 minuti, però pensare che il concetto della parola indichi una cancellazione è tremendo. Mi guardo spesso intorno e cerco di circondarmi di persone di un certo tipo, sicuramente chi non fa parte di questa cerchia non è unfriend. Cancellare dalla propria lista di Facebook mi pare ancora più osceno. Siamo passati da "4 amici al bar" alla community in cui si è tutti o quasi "amici". Mi vai bene ti accetto, altrimenti ti depenno, o peggio vai in lista di epurazione.
Nel periodo sociale che viviamo (e non mi soffermo sui particolari o sarei spietato) ci vengono passate solo informazioni nere, notizie negative. Ci vorrebbe qualcosa per tirare su lo spirito, qualcosa che non vada sul tragico. Ancora non abbiamo passato la fase dall'autoflagellazione e tutto ci ricade addosso con un peso grave.
Togliamo la particella "Un" e lasciamo solo friend. Lasciamo facebook e cerchiamo di ritrovarci come i vecchi tempi come "4 amici al bar": non cambieremo il mondo ma almeno ci si guarda negli occhi.
Leggo questa notizia. Sinceramente mi fa sorride e rattristare un pò. In un periodo della mia vita in cui cerco positività, leggo che la parola dell'anno (sigh) è di per se negativa: Unfriend. Va bene che questa speciale classifica rimarrà impressa nella mia mente per altri 5 minuti, però pensare che il concetto della parola indichi una cancellazione è tremendo. Mi guardo spesso intorno e cerco di circondarmi di persone di un certo tipo, sicuramente chi non fa parte di questa cerchia non è unfriend. Cancellare dalla propria lista di Facebook mi pare ancora più osceno. Siamo passati da "4 amici al bar" alla community in cui si è tutti o quasi "amici". Mi vai bene ti accetto, altrimenti ti depenno, o peggio vai in lista di epurazione.
Nel periodo sociale che viviamo (e non mi soffermo sui particolari o sarei spietato) ci vengono passate solo informazioni nere, notizie negative. Ci vorrebbe qualcosa per tirare su lo spirito, qualcosa che non vada sul tragico. Ancora non abbiamo passato la fase dall'autoflagellazione e tutto ci ricade addosso con un peso grave.
Togliamo la particella "Un" e lasciamo solo friend. Lasciamo facebook e cerchiamo di ritrovarci come i vecchi tempi come "4 amici al bar": non cambieremo il mondo ma almeno ci si guarda negli occhi.
Banchettano!
Non banalizziamo, non cadiamo nella trappola comune in cui la frase "la fame nel mondo" è contenitore di mille significati, ma nessuno sa ben definire quello giusto.
Non mi assumo il compito di definirlo, semplicemente rimango ancora stordito nel vedere molto fumo e poco arrosto. Ci si perde, come in tante nicchie politiche, in discorsini e strette di mano, utili a rendere una prima pagina appetibile sotto la tendina dell'edicolante. Meeting, riunioni, convegni. Una marea di iniziative bianche che quasi sempre finiscono in banchetti; per le persone con la pancia già abbondantemente piena però.
Ci vuole uno sforzo comune, ci vuole la volonta di chi realmente comanda. Ci vuole la negazione più assoluta delle imposizioni di chi muove i mercati farmaceutici e alimentari.
Mi sento piccolo e inascoltato, ma penso che la mia voce vicina a quella di altre persone potrà assumere un suono udibile anche per chi siede in cima a un grattacielo.
Iniziamo a parlare.
Non mi assumo il compito di definirlo, semplicemente rimango ancora stordito nel vedere molto fumo e poco arrosto. Ci si perde, come in tante nicchie politiche, in discorsini e strette di mano, utili a rendere una prima pagina appetibile sotto la tendina dell'edicolante. Meeting, riunioni, convegni. Una marea di iniziative bianche che quasi sempre finiscono in banchetti; per le persone con la pancia già abbondantemente piena però.
Ci vuole uno sforzo comune, ci vuole la volonta di chi realmente comanda. Ci vuole la negazione più assoluta delle imposizioni di chi muove i mercati farmaceutici e alimentari.
Mi sento piccolo e inascoltato, ma penso che la mia voce vicina a quella di altre persone potrà assumere un suono udibile anche per chi siede in cima a un grattacielo.
Iniziamo a parlare.
giovedì 21 febbraio 2008
Adios Fidel

Ernesto è calmo. Guarda il suo orologio di fabbricazione russa e fissa in lontananza i palazzi della periferia dell'Havana. Cerca gli occhi dei suoi compagni, la stanchezza che con prepotenza indurisce i muscoli. Fidel arriva di corsa con Raul. I tre in silenzio sorridono e al grido "Vamos" avanzano senza paura verso la città. Domani sarà loro, sarà del popolo. Domani le strade e le mura si riempiranno dell'urlo "VIVA CUBA LIBRE".
Anni di onnipotenza, momenti di debolezza. Il sogno cubano, tramutato in ideale da un argentino figlio del sud america globale, svanito nella giungla boliviana. Un lider amato dal suo popolo e poi quasi ripudiato dalla massa navigante verso le coste del demone a stelle e strisce. Cuba è sempre là. Le Cadillac ormai prive di smalto e i palazzi segno di un fasto passato, fatto di stelle hollywoodiane e gangsters italoamericani, rappresentano il presente dell'isola della libertà. La libertà non c'è mai stata, deviata in regime dal lurido gioco di potere. I campi e le loro colture devastati da un terreno povero, mai rigenerato dalla mai applicata politica agraria di Guevara. Guerra fredda e movimenti da regime, tensione e finta ostentazione, povertà radicata e villaggi vacanze all-inclusive. Oggi Fidel abdica, dietro il fratello e la classe militare pronta a continuare il sogno infranto. E' tempo di cambiare e accantonare il romanticismo. E' arrivato il momento di dare dignità a un popolo condannato all'embargo per delle colpe non proprie. Voglio davvero vedere Cuba libre.
martedì 12 febbraio 2008
It's all about the money

La bella Meja qualche anno fa cantava questa canzone. In genere si dice che i grandi autori diventino tali poichè sono sempre contemporanei. Meja, oltre questo singolo di successo, scomparve lasciando semplicemente questa traccia dal ritornello accantivante. In compenso l'attualità della canzone è particolare. Troppo facile, in quanto si parla di soldi. Mi ricollego a questo titolo perchè in fin dei conti è il filo che ormai conduce il sociale. Senza spaziare ulteriormente, osservo e leggo le storie del belpaese, consapevole che viviamo in una nazione dove le consuetudini spesso dettano legge. Assurdo ma reale. Italia, povera te, sballottata in ballottaggi continui e costretta a tirare tutti i mesi il 27 per non scomparire. C'è un però che purtroppo noto con disgusto. Tutti più poveri, più tassati, più sul lastrico, più deboli, più in difficoltà, tutti più qualcosa. Puntiamo continuamente il dito sull'economia e , nel giusto, accusiamo una politica economica da suicidio di massa. Portafoglio sempre più magro, portamonete voluminoso ma senza potere d'acquisto. Eppure siamo tra i migliori consumatori di telefonia e servizi correlati, spendiamo patrimoni nel gioco statalmente legale, colmiamo le casse dei grandi magazzini, abusiamo della tecnologia spicciola e di consumo. Compriamo belle auto, televisori al plasma, navigatori satellitari, spulcia orecchie e frigoriferi, cucine componibili e lettori dvd. La sera però piangiamo miseria con la faccia sul cuscino. Tremendamente viziati. Solo dalla voce di mio nonno, un antesignano delle pratiche di vita, ho sentito parlare sul concetto di banco. Compriamo il cellulare dai costi proibitivi e facciamo la spesa a rate.
Succede anche questo nel nostro belpaese. Succede che preferiamo vivere sui toni altrui ma contemporaneamente morire di fame. Succede solo qua da noi che le finanziarie, truffe autorizzate dallo stato e dal suo sistema, ci rendono padroni del soldo per poi rovinarci e infine fallire loro stessi ingoiati dall'ingordigia che ora più che mai è il nostro concetto sociale.
Ma come cantava Meja, it's all about the money.
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